Articoli
L’educazione all’imprenditorialità a scuola in Europa
Perché l’educazione all’imprenditorialità è fondamentale? I paesi europei la stanno integrando nei propri curricoli? Quali tipi di strategie sono state messe in campo finora e come vengono formati gli insegnanti?
di Erika Bartolini
Queste le domande che costituiscono il focus del nuovo rapporto di Eurydice ‘Entrepreneurship Education at School in Europe’ sull’educazione all’imprenditorialità.
Sviluppare e promuovere l’educazione all’imprenditorialità è stato per molti anni uno degli obiettivi politici chiave delle istituzioni europee e degli stati membri. Infatti, nel contesto degli alti tassi di disoccupazione giovanile, della crisi economica e dei rapidi cambiamenti dovuti alla complessità delle nostre economia e società basate sulla conoscenza, le competenze trasversali come l’imprenditorialità sono essenziali non solo per forgiare la mentalità dei giovani, ma anche per fornire le competenze, conoscenze e attitudini che sono centrali per lo sviluppo di una cultura imprenditoriale in Europa. Tuttavia, sebbene alcuni paesi siano già da più di un decennio impegnati a dare impulso all’educazione all’imprenditorialità, altri stanno partendo solo ora.
Cosa è l’educazione all’imprenditorialità
Il rapporto di Eurydice si basa sulla definizione europea di imprenditorialità quale competenza chiave che si riferisce alla ‘capacità di una persona di tradurre le idee in azione […]’. È una definizione ampia, che non comprende solo la capacità dei giovani di iniziare e gestire un’attività commerciale o in proprio, ma include anche ‘la creatività, l’innovazione e l’assunzione di rischi, come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi […]’.
In ambito educativo ciò significa sviluppare negli studenti di tutte le età, in un’ottica di apprendimento permanente, le competenze e la mentalità necessarie per trasformare le idee creative in azioni imprenditoriali e sostenere così anche lo sviluppo personale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupabilità.
Fra i paesi europei, tuttavia, non c’è omogeneità nella definizione di educazione all’imprenditorialità. Mentre la metà circa dei paesi (fra cui l’Italia) utilizza la definizione europea, e un terzo dei paesi ha una definizione nazionale che nella maggior parte dei casi è in linea con quella europea, in circa 10 paesi non esiste una definizione condivisa a livello nazionale di educazione all’imprenditorialità.
Questo aspetto, apparentemente secondario, rivela invece già dalla definizione, quanto ancora ci sia da fare in questo campo in Europa, come è evidenziato anche dai principali risultati dello studio.
Infatti, una delle conclusioni a cui giunge il rapporto di Eurydice è che nessun paese ha ancora pienamente integrato l’imprenditorialità nelle proprie politiche educative.
Integrare l’educazione all’imprenditorialità implica l’attuazione nel tempo di una strategia e il suo costante monitoraggio, vuol dire che esiste un meccanismo di finanziamento solido e che si valutano i risultati dell’apprendimento e anche la piena integrazione dell’educazione all’imprenditorialità nella formazione iniziale e in servizio degli insegnanti. Ciò attualmente non avviene in nessuno dei paesi considerati dal rapporto.
Dei 38 sistemi educativi presi in esame, con la massima concentrazione nei paesi nordici, hanno una specifica strategia sull’educazione all’imprenditorialità, mentre 18 hanno una strategia più generale che copre anche altre aree. Nove non hanno strategie nazionali di rilievo in questo campo.
In generale, le strategie che si concentrano esclusivamente sull’educazione all’imprenditorialità offrono una copertura migliore dell’argomento, con una più vasta gamma di azioni e maggiore supporto per la loro attuazione.
L’educazione all’imprenditorialità nel curricolo e nella formazione degli insegnanti
Nella metà dei paesi considerati dal rapporto, l’educazione all’imprenditorialità è inclusa nel curricolo a livello primario come obiettivo cross-curriculare, mentre in 14 paesi è integrata nelle materie obbligatorie a livello primario.
A livello secondario superiore, l’educazione all’imprenditorialità è più diffusa e gli approcci più vari; può essere materia separata o parte integrante delle materie obbligatorie e facoltative (principalmente scienze sociali, economia e studi commerciali). Tuttavia, il rapporto evidenzia che è più difficile che l’educazione all’imprenditorialità raggiunga tutti gli studenti quando è inclusa nelle materie facoltative piuttosto che in quelle obbligatorie e dove non è un argomento cross-curriculare.
Esaminare l’educazione all’imprenditorialità nella formazione iniziale degli insegnanti è complesso, dato che più di tre quarti dei paesi/regioni europee o riconoscono autonomia agli istituti di formazione, o non hanno disposizioni per la formazione iniziale degli insegnanti sull’educazione all’imprenditorialità. Solo sette sistemi educativi includono l’educazione all’imprenditorialità fra le materie obbligatorie nella formazione iniziale di alcuni tipi di futuri insegnanti, e solo un paese lo fa per tutti i futuri insegnanti.
Nello sviluppo professionale continuo, l’offerta di corsi sull’educazione all’imprenditorialità è più sviluppata. Infatti, 28 paesi/regioni hanno corsi specifici disponibili almeno per gli insegnanti di determinate materie in certi livelli di istruzione. A volte, l’offerta viene da organizzazioni che generalmente si occupano di sviluppo professionale continuo o può essere delegata a enti/organizzazioni specializzate in educazione all’imprenditorialità. Questi soggetti hanno un ruolo chiave nella formazione iniziale e in servizio, così come nello sviluppo di materiali didattici e nel fornire un sostegno qualificato agli insegnanti.
La ricerca suggerisce, infatti, che i metodi che coinvolgono gli studenti in esperienze fuori dalla classe e li mettono in contatto con il mondo reale hanno un ruolo centrale nell’educazione all’imprenditorialità. Tuttavia, il rapporto mostra che solo pochi paesi fanno di esperienze pratiche di imprenditorialità – come la creazione di piccole o medie imprese, o il lavoro basato sulla progettazione – una parte regolare e obbligatoria del curricolo.
A questo proposito, un dato interessante riportato da una indagine di Eurobarometro, ci dice che solo il 23% del campione intervistato ha partecipato a corsi o attività a scuola finalizzati a trasformare le idee in azione o a realizzare un proprio progetto. La percentuale di chi ha partecipato è più alta fra i giovani (il 34% fra il 15-24enni) mentre la stessa decresce più che si sale con l’età. Questo è chiaramente dovuto anche al fatto che i più giovani hanno comunque beneficiato delle ultime politiche messe in campo nei vari paesi. Il dato italiano in questa indagine si attesta fra i più bassi, circa al 16%.
L’approccio degli europei all’imprenditorialità
Da una recente indagine di Eurobarometro emerge anche che, ad esempio, in Europa più del 50% dei giovani di età compresa fra 15 e 29 anni non ha intenzione di iniziare un’attività in proprio, il 5% lo ha già fatto, il 17% intende farlo in futuro e il 3% ha provato a farlo ma ha dovuto rinunciare perché ha incontrato troppe difficoltà, mentre il 22% vorrebbe iniziare un’attività ma lo ritiene troppo difficile. In generale, questo dato di Eurobarometro mette in luce un generale scetticismo dei giovani sulla possibilità che l’attività imprenditoriale possa costituire una valida soluzione all’attuale crisi del mondo del lavoro.
Da un’indagine del Global Entrepreneurship Monitor (GEM), risulta invece che in Italia, posizionandosi molto al di sopra della media europea, il 65% della popolazione di età compresa fra 18 e 64 anni, ritiene l’imprenditorialità una scelta lavorativa auspicabile, anche se solo l’11 % ha intenzione di iniziare un’attività nei prossimi tre anni, mentre riguardo alla percezione delle capacità e opportunità imprenditoriali, l’Italia si posiziona in linea con la media europea.
Quando poi si vanno a considerare le percentuali di giovani che hanno iniziato un’attività in proprio, l’Italia risulta avere le percentuali più alte con il 13,7% fra gli occupati di età compresa fra 20 e 24 anni e il 16,2% fra i 25-29enni. Nonostante questi dati possano, secondo Eurofound, nascondere anche il fenomeno diffuso in alcuni paesi di falsi lavoratori in proprio, il dato rimane alto e suggerisce uno spunto di riflessione.
Tuttavia, l’Italia non ha ancora sviluppato una strategia nazionale specifica sull’educazione all’imprenditorialità che, comunque, è inserita come materia cross-curricolare o integrata nei curricoli dei livelli primario e secondario inferiore e superiore.
Le recenti misure sul rilancio dell’alternanza scuola-lavoro contenuto nella legge ‘La buona scuola’ e la previsione di attività di formazione in servizio per i docenti relative sia all’alternanza che all’imprenditorialità, vanno certamente nella direzione di dare all’educazione all’imprenditorialità uno spazio nel nostro sistema di istruzione.
Tuttavia, guardando i dati sulle intenzioni e sulle percezioni dei giovani verso l’imprenditorialità, considerando che nelle indagini PISA i 15enni italiani hanno risultati nelle competenze di problem solving superiori alla media OCSE e che l’Italia è una paese la cui economia è storicamente legata alle piccole e medie imprese, quello dell’educazione all’imprenditorialità è sicuramente un campo in cui, con una strategia nazionale mirata, si possono raggiungere risultati interessanti nel contenimento della disoccupazione giovanile.