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24 Marzo 2021

INSEGNANTI IN EUROPA: carriera, sviluppo professionale e benessere

La centralità del ruolo degli insegnanti in tutti i sistemi educativi e il riconoscimento della loro forza vitale trainante nel processo di apprendimento degli studenti sono risultati ancor più evidenti, in seguito alla pandemia da Covid-19. Le Conclusioni del Consiglio del 26 maggio 2020 sugli insegnanti e formatori europei per il futuro ribadiscono questi concetti sottolineando al contempo come gli insegnanti siano stati e saranno, nei prossimi anni, le principali figure di contrasto alla crisi del settore educativo generata dall’emergenza sanitaria globale.

di Simona Baggiani

La Comunicazione della Commissione sulla realizzazione dello spazio europeo dell’istruzione entro il 2025 del settembre 2020 indica i Teachers and trainers (insegnanti e formatori) come una delle sei principali dimensioni per consolidare gli sforzi in corso e sviluppare ulteriormente la collaborazione tra Stati membri nel settore educativo (vd figura sotto).

Nella Comunicazione si sottolinea, in particolare, come la pandemia da COVID-19 ha avuto e sta avendo gravi ripercussioni sui sistemi di istruzione e formazione in Europa. “Essa espone oltre 100 milioni di europei, che fanno parte della comunità dell’istruzione e della formazione, a realtà e a modalità di apprendimento, insegnamento e comunicazione nuove e impegnative. È essenziale evitare che la crisi sanitaria diventi un ostacolo strutturale all’apprendimento e allo sviluppo delle competenze con ripercussioni sulle prospettive occupazionali e salariali dei giovani, nonché sull’uguaglianza e sull’inclusione per l’intera società”. Milioni di insegnanti in tutta Europa hanno dovuto infatti adattarsi rapidamente alle chiusure delle scuole causate dall’emergenza sanitaria e sono rimasti in prima linea a fronteggiare la crisi per garantire che l’apprendimento degli studenti in lockdown continuasse, se pur a distanza.

Tuttavia, se da una parte, si riconosce universalmente agli insegnanti il loro ruolo cruciale che si evolve con l’insorgere di nuove esigenze, aspettative e responsabilità, specialmente in questo drammatico momento storico, dall’altra si assiste anche, ormai da un po’ di anni, a una crisi professionale piuttosto importante, che vede sistemi scolastici sempre più in difficoltà nel reclutare insegnanti motivati e competenti.

Nella maggioranza dei paesi europei, la professione docente attrae, infatti, sempre meno giovani e ne perde altri già formati per diventare insegnanti. Molti sistemi educativi stanno già soffrendo di significative carenze di docenti (in particolare per le discipline STEM e per il sostegno agli studenti con bisogni speciali) e questa situazione di difficoltà può influenzare la qualità dell’offerta di insegnamento.

I decisori politici nazionali ed europei stanno collaborando per identificare i nodi problematici che rendono la professione docente meno attrattiva e stanno cercando nel contempo soluzioni per mitigare l’impatto della carenza sui sistemi educativi, preservandone gli standard di qualità.

Il rapporto di Eurydice, Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being, che ha come focus gli insegnanti della scuola secondaria inferiore, si inserisce perfettamente in questo dibattito offrendo evidenze sia sulle politiche che sulle pratiche in chiave comparata. Infatti, mette insieme i dati Eurydice basati sulla normativa nazionale con i dati sulle pratiche e le percezioni degli insegnanti tratti dall’indagine internazionale TALIS 2018 dell’OCSE. L’analisi di entrambe le tipologie di dati aiutano a comprendere l’impatto prodotto dalle politiche nazionali sui comportamenti degli insegnanti, fornendo nel contempo una base di evidenze per l’implementazione di future riforme. Il rapporto copre tutti e 27 gli Stati membri dell’UE, nonché Regno Unito, Albania, Bosnia ed Erzegovina, Svizzera, Islanda, Liechtenstein, Montenegro, Macedonia del Nord, Norvegia, Serbia e Turchia.

Le aree chiave individuate dallo studio comparativo e su cui è necessario rivolgere l’attenzione dei politici, sia a livello europeo che nazionale, comprendono la crisi vocazionale e le politiche legate all’attrattività della professione, la formazione iniziale, lo sviluppo professionale continuo, le condizioni di servizio, le prospettive di carriera e il benessere degli insegnanti.

Qui di seguito i principali risultati del rapporto:

Attrattività della professione

La carenza di insegnanti non è un problema nuovo, che però sembra essere addirittura peggiorato negli ultimi anni. Questa problematica riguarda ben 35 sistemi educativi in Europa (otto di questi , tra cui anche l’Italia, soffrono sia di carenze che di eccesso di offerta). Solo in tre paesi (Cipro, Irlanda del Nord e Turchia) l’eccesso di offerta è la principale problematica. Le carenze possono essere particolarmente acute in materie specifiche come le cosiddette STEM (scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) e le lingue straniere. Possono anche interessare specifiche aree geografiche a causa della loro lontananza dai centri urbani, dello svantaggio socioeconomico di certe aree rurali, degli alti costi della vita in certe aree urbane o dei loro quartieri con problematiche di conflitti sociali.

Questi problemi di carenza e di eccesso di offerta possono essere dovuti a diverse ragioni, come la mancanza di pianificazione nella formazione iniziale dei docenti o i bassi tassi di reclutamento dovuti alla riduzione della spesa nel settore pubblico.

L’invecchiamento degli insegnanti è un altro nodo problematico che interessa più della metà dei sistemi educativi. Gli ultimi dati Eurostat indicano infatti che, a livello UE, quasi il 40% degli insegnanti del livello secondario inferiore ha oltre 50 anni, e meno del 20% ha meno di 35 anni. Alla luce della recente pandemia da Covid-19, l’età avanzata degli insegnanti aggiunge un ulteriore elemento di vulnerabilità ai sistemi educativi nel loro insieme, sia per la maggiore fragilità degli stessi, sia per la diffusa difficoltà tra gli insegnanti più anziani di gestire la didattica a distanza attraverso le nuove tecnologie. In questo contesto demografico si aggiunge anche il fatto che, in alcuni paesi, tra cui l’Italia, più della metà dei docenti del livello secondario inferiore andrà in pensione nei prossimi 15 anni.

Pertanto, la combinazione di una popolazione docente sempre più anziana con l’attuale problematica di carenze pone la sfida del reclutamento in materie e/o aree geografiche specifiche come determinante nei prossimi anni. Questo è il caso di almeno un terzo dei sistemi educativi europei.

In Italia, insieme ad altri cinque paesi, l’invecchiamento della popolazione insegnante coesiste sia con carenze che con eccessi di offerta, rendendo il quadro generale ancora più complesso e richiedendo una risposta politica ancora più mirata. Tutti questi paesi hanno anche una percentuale particolarmente bassa di giovani insegnanti. L’Italia, ha solo il 6,4% di insegnanti con meno di 35 anni; solo la Grecia e il Portogallo sono messe peggio con il 4,6% e 3,4% rispettivamente.

Condizioni di lavoro

In Europa, un insegnante su cinque lavora con contratti temporanei. Tra gli insegnanti con meno di 35 anni, più di un terzo lavora con contratti a tempo determinato, e in Italia, come in Spagna, Austria e Portogallo, sono addirittura più di due terzi, con una chiara prevalenza di contratti brevi e spesso non superiori a un anno (quest’ultimo è il caso dell’Italia). Mentre la percentuale dei contratti a tempo determinato normalmente diminuisce con l’avanzare dell’età dei docenti, in alcuni paesi rimane alta la percentuale di insegnanti nella fascia di età 35-49 che lavora ancora con un contratto a tempo determinato (ad esempio in Portogallo il 41%, in Spagna il 39% e in Italia il 32%). Nel nostro paese, infatti, le discontinuità nel processo di reclutamento di docenti di ruolo a tempo indeterminato, anche in seguito alle limitazioni della spesa pubblica degli anni passati, hanno spinto le scuole ad assumere insegnanti con contratti a tempo determinato (con durata al massimo di un anno).

Per quanto riguarda gli stipendi, si registra una generale insoddisfazione tra gli insegnanti europei. Normalmente i paesi in cui gli insegnanti sono più insoddisfatti dei loro stipendi sono quelli in cui questi sono inferiori al PIL pro capite e viceversa. Solo, in Belgio, Danimarca, Paesi Bassi , Austria, Finlandia e Inghilterra, la percentuale di insegnanti soddisfatti, o molto soddisfatti, del loro stipendio è superiore al valore medio UE del 38%. Addirittura, in Danimarca quasi il 70% dei docenti è soddisfatto del proprio stipendio. Al contrario, in Francia, Italia, Portogallo, Romania e Slovenia, pochi insegnanti sono soddisfatti, nonostante la differenza positiva tra PIL pro capite e stipendi. Evidentemente i motivi di tale insoddisfazione dipendono anche da altri fattori. In Italia, per esempio, l’aumento dello stipendio è relativamente modesto rispetto ad altri paesi e gli insegnanti devono lavorare 35 anni prima di raggiungere lo stipendio massimo, che è approssimativamente il 50% in più dello stipendio iniziale. In Francia, Italia, Portogallo e Slovenia, per esempio, negli ultimi dieci anni (ossia dalla crisi economica del 2009) gli stipendi degli insegnanti sono aumentati molto poco.

Carriera

La carriera dei docenti in Europa è organizzata passando per step formali con specifici ruoli, responsabilità e relativi aumenti di stipendio, oppure concepita solo in termini di aumenti salariali. La valutazione e lo sviluppo professionale continuo sono normalmente i requisiti per la progressione di carriera nei paesi che prevedono step formali. Nei paesi, invece, dove non ci sono step formali, la progressione di carriera dipende principalmente dagli anni di servizio (come il caso dell’Italia).

Tipi di strutture di carriera per insegnanti del livello secondario inferiore, 2019/20

Formazione iniziale e fase di avvio alla professione

Per diventare un insegnante di scuola secondaria inferiore, la maggioranza dei sistemi educative europei, compreso il nostro, richiede una qualifica minima equivalente alla laurea magistrale. I programmi della formazione iniziale degli insegnanti sono uno dei fattori chiave che impattano sulla sua qualità. Le conoscenze disciplinari, la teoria pedagogica e la pratica in classe (in-school placement) sono gli elementi cardine di una formazione per futuri docenti efficace. Nonostante quasi tutti i sistemi educativi includano nei programmi anche una parte di formazione professionale affiancata allo studio delle discipline accademiche, la sua durata varia notevolmente da un paese all’altro. La percentuale di formazione professionale inclusa nei percorsi di studio per diventare insegnante va infatti da un 50% della durata totale della formazione iniziale nel Belgio francese, Irlanda e Malta a un 8% in Italia e Montenegro. Nel nostro paese, infatti, per diventare insegnante nelle scuole secondarie, i laureati devono superare un concorso, la cui ammissione richiede l’acquisizione di 24 CFU in discipline antropo-psico-pedagogiche e in metodologie e tecnologie didattiche. Tali crediti possono essere ottenuti durante il corso di laurea magistrale (se inclusi) oppure anche dopo la laurea (se non inclusi nel percorso di studi). In base ai risultati dell’indagine internazionale TALIS 2018, in Europa, quasi il 70% di tutti gli insegnanti riferisce di essere stato formato in tutti e tre i principali aspetti della formazione (contenuti disciplinari, pedagogia generale e relativa alla specifica disciplina e pratica in classe). Tuttavia, questa percentuale scende sotto il 60% in Spagna, Francia e Italia.

Per quanto riguarda la fase di avvio alla professione per i nuovi insegnanti, la cosiddetta induction (da noi chiamata anno di prova), in media, in Europa, meno del 50% degli insegnanti ha preso parte a una qualche forma di programma di sostegno all’inizio della carriera durante il loro primo impiego, nonostante che nella maggioranza dei paesi UE sia un’offerta obbligatoria. Anche nel nostro caso, l’anno di prova per insegnanti neoassunti è obbligatorio per la conferma in ruolo dei docenti; tuttavia in Italia (e in Spagna) la partecipazione a questo tipo di programma è rivolta solo agli insegnanti a tempo indeterminato.

Sviluppo professionale continuo

La partecipazione ad attività di sviluppo professionale è quasi universalmente diffusa in Europa, nonostante la discreta variazione tra paesi nella gamma delle attività di formazione svolte. In media, il 93% degli insegnanti del livello secondario inferiore ha svolto almeno un tipo di queste attività secondo quanto riferito per l’indagine TALIS 2018. In quasi tutti i paesi europei, compresa l’Italia, gli insegnanti hanno il dovere professionale di partecipare ad attività di formazione continua. Di fatto, più della metà dei paesi europei destina del tempo per la formazione in servizio a ciascun insegnante, sia che questa abbia uno status di obbligatorietà o che sia considerata un diritto del docente.

Valutazione

Nella maggioranza dei paesi europei, le autorità educative superiori hanno emanato una normativa che regolamenta la valutazione dei docenti, mentre in una minoranza di sistemi le scuole o le autorità locali hanno piena autonomia in materia (per esempio in Danimarca, Paesi Bassi, Finlandia, ecc..).

La valutazione degli insegnanti viene effettuata più spesso nei tre paesi baltici, Estonia, Lettonia e Lituania, in diversi paesi dell’Europa dell’Est, in Inghilterra e in Svezia, tutti paesi questi dove più del 90% degli insegnanti lavora in scuole in cui sono stati valutati almeno una volta all’anno. Al contrario, in diversi paesi dell’Europa del Sud e dell’Ovest, così come in Finlandia, gli insegnanti vengono valutati con minor frequenza. Per esempio, nel Belgio fiammingo, in Italia, Spagna, Francia, Cipro, Austria, Paesi Bassi, Portogallo e Finlandia, la percentuale di insegnanti che lavorano in scuole dove sono stati valutati almeno una volta all’anno è sotto la media UE.

In Italia, la valutazione degli insegnanti ha iniziato ad essere regolamentata pochi anni prima dell’ultima indagine TALIS. Infatti, nel 2015, con la Legge di riforma dell’istruzione (107/2015), è stato introdotto, per tutti gli insegnanti a tempo indeterminato, un bonus premiale basato sulla valutazione. L’attuazione di questa politica ha avuto un chiaro riflesso nella sostanziale diminuzione (-33,7 punti percentuali) tra il TALIS 2013 e il TALIS 2018 della percentuale di insegnanti che lavorano in scuole dove non sono mai stati valutati.

Principali obiettivi della valutazione degli insegnanti del livello secondario inferiore, 2019/20

Come mostra la figura qui sopra, il motivo più comune in Europa per la valutazione è quello di offrire un feedback sul loro lavoro agli insegnanti, allo scopo di migliorarsi.

Fatta eccezione per l’Italia, tutti i paesi che regolamentano la valutazione dei docenti prevedono un feedback per migliorare il proprio lavoro come uno dei principali obiettivi del loro sistema di valutazione. E in effetti, in Italia, dove l’eventuale valutazione degli insegnanti viene effettuata per assegnare il bonus premiale e non per fornire un feedback ai docenti, anche la percentuale di insegnanti che lavorano in scuole dove i colloqui post-valutazione si svolgono sistematicamente è al di sotto della media UE.

Mobilità

Solo una minoranza di insegnanti in Europa è stato all’estero per motivi professionali (nel 2018, solo il 40,9% degli insegnanti europei). I paesi sopra questa media sono i paesi nordici e baltici, la Cechia, Cipro, la Spagna, i Paesi Bassi e la Slovenia. I programmi UE sono i principali strumenti di finanziamento della mobilità transnazionale dei docenti. Solo in una minoranza di paesi, esistono programmi nazionali che finanziano la mobilità degli insegnanti all’estero per motivi di sviluppo professionale. La mobilità transnazionale degli insegnanti in servizio è inferiore alla media europea in Belgio, Bulgaria, Croazia, Italia, Malta, Slovacchia, Inghilterra e Turchia.

Percentuale di insegnanti del livello secondario inferiore che sono stati all’estero, nel 2018 e nel 2013

Benessere

In media, a livello UE, quasi il 50% degli insegnanti riferisce di aver sperimentato “abbastanza” o “molto” stress sul lavoro. Gli insegnanti che lavorano in scuole con un clima collaborativo e che si sentono sicuri di sé nella gestione del comportamento e nella motivazione degli studenti, generalmente segnalano un minor livello di stress. La percentuale degli insegnanti italiani che hanno riferito di aver sperimentato abbastanza o molto stress sul lavoro è tuttavia inferiore alla media europea del 46,8%, con il 28,9% di insegnanti che ha risposto “abbastanza” e il 5,9% “molto”.

Leggi/scarica il rapporto completo: Teachers in Europe: Careers, Development and Well-being


Tag: Personale dell'istruzione